Nonostante i progressi scientifici non è ancora chiara o rilevabile attraverso esami biologici e strumentali la differenza tra un disturbo di tipo psicologico e uno di tipo organico. Un disturbo organico è caratterizzato da un “guasto” ad un apparato dell’organismo che non funziona in maniera corretta.A differenza dei disturbi organici, nei disturbi psicologici di tipo nevrotico è difficile riscontrare “avarie” organiche. Tuttavia le neuro scienze hanno dimostrato che quando insorge uno stato di malessere ansioso o depressivo, si producono a livello celebrale delle trasformazioni neuro chimiche. Questi studi hanno altresì riscontrato che tali cambiamenti neuro chimici sono uguali anche nei soggetti “normali” quando sperimentano uno stato d’ansia o di tristezza.. Questa constatazione mette in rilievo che la differenza tra un soggetto affetto da un disturbo (ansioso /depressivo) ed un soggetto “normale” non risiederebbe nelle trasformazioni neuro chimiche, ma nella maggiore frequenza e durata in cui è presente tale alterazione neuro chimica. Se da una parte la neuro scienza ci permette di rilevare che i cambiamenti neuro chimici a livello celebrale sarebbero delle naturali conseguenze che il nostro cervello produce quando si attiva uno stato d’ansia o di tristezza, dall’altra parte non ci dichiara quali sono le reali cause che le generano quando insorge un disturbo ansioso o depressivo. Tra le principali teorie che provano a spiegare quali possono essere tali cause, ci sono: la teoria psicologica cognitivo comportamentale e quella medica a cui aderisce la psichiatria. La psicologia cognitivo comportamentale sostiene che le alterazioni neuro chimiche del nostro cervello sia in senso ansioso che depressivo sono generate e mantenute dai pensieri e dai comportamenti cosiddetti“disfunzionali”. Invece la teoria medica ritiene che l’alterazione neuro chimica presente nei disturbi d’ansia e depressivi siano generate e mantenute da un “guasto” di tipo organico. Queste differenze teoriche hanno dato origine a due tipi di trattamento. Da una parte la psicologica cognitivo comportamentale, ritenendo l’alterazione neuro chimica del cervello una ovvia conseguenza del pensiero e del comportamento di una persona depressa o ansiosa, interviene con la psicoterapia per rimuovere o modificare i cosiddetti pensieri e comportamenti “disfunzionali”. Dall’altra parte, la medicina classica a cui fa riferimento la psichiatria, individuando nella causa organica l’alterazione neuro chimica del cervello stabilisce come metodo di cura quello farmacologico, allo scopo di ristabilire a livello chimico un equilibrio di normalità. La medicina, procedendo in maniera inversa a quella psicologica, interviene direttamente sulla modifica neuro chimica, mentre il trattamento psicologico lavora sui fattori cognitivi e comportamentali per ottenere lo stesso risultato. In comune i due tipi di trattamento perseguono l’obiettivo di normalizzare l’assetto neuro chimico del cervello per ridurre il disagio e renderlo più tollerabile, ma seguendo strade differenti. Il fatto vero è che le conoscenze attuali non consentono di definire quale sia la linea di confine che permette di stabilire dove inizia e finisce un disturbo psicologico. La psicologia cognitivo comportamentale dando prova di notevole efficacia nel trattamento dei disturbi d’ansia e depressivi e mettendo in evidenza che in tali generi di disturbi insistono pensieri e comportamenti con caratteristiche omogenee, negli ultimi tempi ha ottenuto un importante riconoscimento scientifico di validità del suo costrutto teorico. Inoltre diverse ricerche hanno dimostrato che i disturbi legati all’ansia ed alla depressione se trattati esclusivamente a livello farmacologico, tenderebbero a ripresentarsi, e ciò tende a valorizzare ancora di più la credibilità della struttura teorica del modello psicologico cognitivo comportamentale. Preciso che il mio argomentare non vuole essere un attacco agli psicofarmaci, poiché in tantissimi casi in cui il malessere è intenso, l’assunzione dei farmaci è utile e in molti casi necessaria anche per iniziare e portare avanti un trattamento psicologico, poiché tende a ridurre il livello del disagio e in tempi relativamente brevi. Quello che sostengo è che potrebbe essere un errore interpretare gli psicofarmaci come metodo di cura dei disturbi d’ansia e depressivi. poiché essi agiscono solo a livello neuro chimico e non tengono conto dei pensieri e comportamenti"disfunzionali" che caratterizzano questo genere di disturbi. Bisogna riconoscere che, in alcuni casi, gli psicofarmaci possono anche generare un effetto curativo in quanto un migliore stato di benessere può essere capace di generare cambiamenti anche nei comportamenti e nei pensieri ma questo avviene molto raramente. Molto spesso dal migliore stato di benessere generato dagli psicofarmaci non si associano cambiamenti sia nei pensieri che nei comportamenti. La conseguenza di ciò è che le cause psicologiche scatenanti lo stato di malessere continuano ad agire anche se il disagio è diventato più tollerabile o assente.. Stando a queste considerazioni e’ mia opinione che coloro che decideranno di avvalersi esclusivamente del solo trattamento farmacologico avranno una notevole probabilità di sviluppare una dipendenza a vita dagli psicofarmaci. Quello che mi permetto di suggerire a chi convive con un disturbo d’ansia o depressivo, è di affiancare al trattamento farmacologico anche una psicoterapia possibilmente cognitivo comportamentale, che per questi generi di disturbi sta ottenendo risultati molto positivi. Mi permetto di paragonare gli psicofarmaci al ruolo che svolgono gli anti infiammatori per la riduzione del sintomo. Essi riducono le sensazioni di malessere, rendono il problema più sopportabile e per tale motivo li considero importanti, ma considero riduttivo e sbagliato affrontare un disturbo ansioso o depressivo senza fare riferimento ad una psicoterapia. Lo svantaggio del trattamento psicologico è che richiede impegno personale per la durata della terapia, che può essere più o meno lunga; il vantaggio è che nel tempo rende i risultati più stabili, riduce il rischio di ricadute e aumenta la probabilità di eliminare o ridurre al minimo gli psicofarmaci alla fine del trattamento.
Data:
16/11/16
Lo Staff / The Staff
American Europen Medical Center
Direttore del sito : Daniel Viennese
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